Capodanno, 1° gennaio del 1995. Fuori, un ragazzetto fa scoppiare gli ultimi botti. Dentro, Renato Vallanzasca attende in isolamento gli agenti che hanno l’ordine di scortarlo all’Asinara. E firma la resa, con se stesso: fine della corsa, si scende. Era iniziata quarant’anni prima.

Periferia di Milano, Lambrate, il Giambellino, la Comasina, l’insofferenza per l’autorità e la scoperta precoce della vocazione. “C’è chi nasce per fare lo sbirro, chi lo scienziato, chi per diventare Madre Teresa di Calcutta. lo sono nato ladro”.

Famiglia normale. Debutto “criminale” a otto anni: assalto a un circo per liberare gli animali dello zoo. Studi di ragioneria e furti nelle ville sul lago, quelli gli vengono meglio. Poi la prima banda, le rapine, le banche, i soldi facili, la bella vita e le belle donne.

Sparatorie, carcere e rocambolesche evasioni. La leggenda del “Bel René”, il fascino del rapinatore gentiluomo che resiste a omicidi e rapimenti, e anzi si ingigantisce. Sempre in fuga.

Sempre in gioco seguendo la sua etica del crimine, le regole, per cui due cose su tutte non si possono perdonare: trafficare con la droga e tradire, diventare un infame. Ma poi viene arrestato: il conto è quattro ergastoli, duecentosessanta anni di carcere.

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